Le varietà vegetali e animali: un mondo sempre meno vario.
Da sempre, l’uomo influenza con il suo intervento la selezione delle specie naturali: l’esempio più evidente è il lavoro degli allevatori e degli agricoltori, che privilegiano le varietà più resistenti alle malattie e redditizie dal punto di vista della produttività. È così che, nel corso dei secoli, alcune specie vegetali si sono affermate massicciamente a dispetto delle altre. Basti pensare a un frutto comunissimo, come le mele: oggi ciascuno di noi potrebbe nominarne solo poche varietà. Eppure, per quanto strano possa apparirci, in natura ne esistono decine di migliaia, la cui coltivazione è stata progressivamente abbandonata perché poco redditizie – magari perché maturavano lentamente, davano frutti piccoli o di forma irregolare, o con la buccia troppo spessa. In questa selezione operata dall’uomo, alcune varietà sono diventate marginali o a rischio di scomparsa e la biodiversità è sempre più minacciata.
La selezione involontaria
Al di là di questa selezione “volontaria”, però, ci sono altre forme di selezione che l’uomo sta operando; molte di queste non sono programmate, e hanno conseguenze difficili da prevedere. A gettare una luce su alcuni di questi fenomeni è un recente intervento sul sito della BBC di Adam Hart, scienziato e divulgatore inglese, che parla della pressione sulle specie che le attività umane esercitano in maniera involontaria. È quella che viene chiamata, con una brillante definizione, “unnatural selection”, ovvero “selezione innaturale”.
Un esempio legato alla nostra vita quotidiana è quello degli antibiotici; esercitando un’immensa pressione su alcuni batteri, danno un enorme vantaggio evolutivo ad altri batteri, quelli che possono resistere alla loro azione. Altrettanto efficace potrebbe essere l’esempio dei pesticidi, che favoriscono gli organismi che resistono alla loro azione. Ma c’è un esempio, tra quelli citati da Adam Hart, che colpisce particolarmente: è quello della selezione operata dalla pesca commerciale.
Da predatore a preda: la (triste) storia del merluzzo atlantico
Fino a pochi decenni fa, la popolazione di merluzzi dell’Oceano atlantico era ricchissima: questi grandi pesci raggiungevano diversi metri di lunghezza ed erano predatori ai gradini più alti della catena alimentare. Oggi, dopo decenni di pesca intensiva che hanno causato un calo drammatico della popolazione di questi pesci, gli scienziati hanno sottolineato un fenomeno ancora più drammatico: poiché gli esemplari catturati dai pescatori sono quelli di maggiori dimensioni, oggi gli esemplari di merluzzo atlantico non arrivano oltre il metro, e sono passati da predatori a prede di altre specie decimate meno drammaticamente. Ma la riflessione più sconvolgente è un’altra: l’azione dei pescatori ha operato una selezione naturale – o innaturale – sulla specie, permettendo a un maggior numero di merluzzi di piccole dimensioni di sopravvivere e tramandare i suoi geni. In poche parole, la pesca ha contributo a selezionare i pesci anche dal punto di vista genetico, favorendo la diffusione di quelli di dimensioni più contenute.
Un dato che ci spinge una volta di più a riflettere su una questione generale, quella dell’impatto della pesca intensiva sulla vita dei nostri mari e dei nostri oceani, e su come alcune nostre azioni possano avere un impatto molto più ampio di quanto immaginiamo. Non dimentichiamolo, la prossima volta che sceglieremo quali pesci acquistare!
Per saperne di più:
http://slowfood.com/slowfish/pagine/ita/pagina.lasso?-id_pg=94
Le pagine di Slow Food dedicate al pesce sostenibile: oltre a numerose informazioni sul tema, si può trovare una guida pratica per scegliere tra le varie specie.
http://www.bbc.com/news/science-environment-35462335
L’intervento completo di Adam Hart per BBC news, anche in versione radiofonica.
http://www.riservaditorreguaceto.it/page.aspx?LVL_II=98&mp=2&view=top&no=1&ID=8512232
Dal Salento, la storia dei pescatori di Torre Guaceto: un esempio concreto di come una buona pratica locale possa portare benefici importanti a livello più ampio.